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La terribile storia di Carl McCunn, il fotografo americano che fu abbandonato nelle terre selvagge dell’Alaska

Carl McCunn, un fotografo naturalista americano, si fece trasportare in Alaska da un pilota, chiedendo di essere lasciato in un luogo remoto nelle terre selvagge del paese con l’obiettivo di fotografare la fauna. A un tratto, McCunn si rese conto di aver dimenticato di accordarsi per il viaggio di ritorno. Sopravvisse per cinque mesi, ma quando le sue provviste terminarono e capì di non avere più speranze di essere salvato, il fotografo si suicidò. Il suo campo e il suo cadavere vennero trovati mesi dopo, insieme al suo diario.

Pubblicato il 21/10/2021

“Dicono che non faccia male”, scrisse il fotografo americano Carl McCunn prima di premere il grilletto. Disperso nelle terre selvagge dell’Alaska, il 35enne si era fatto lasciare lassù da un pilota con cui si era messo d’accordo. Il suo obiettivo era quello di fotografare la tundra e ritrarre la fauna selvatica.

Purtroppo, però, il fotografo aveva dimenticato di organizzare specifici piani per farsi venire a prendere. Rimasto abbandonato, resistette per cinque mesi, ma una volta rimasto senza cibo pensò di non avere altre opzioni se non quella di andarsene alle sue condizioni.

Qualche mese dopo, un ranger aprì la sua tenda e trovò il suo corpo lì dentro, insieme ad un impressionante diario dove un uomo morente aveva trascritto i suoi ultimi pensieri prima di terminare la propria sofferenza.

Carl McCunn
Carl McCunn

Il suo diario, che era arrivato a ben 100 pagine, iniziava con ottimismo. McCunn era stato lasciato lì alla fine dell’inverno, nel marzo del 1981, e all’inizio la sua permanenza fu all’insegna del piacere per l’estate che stava risvegliando la natura. Alla fine, invece, il diario non divenne altro che un inquietante resoconto dei tormenti di un uomo attanagliato dai morsi della fame e del freddo, che arrivava a rubare le prede mezze mangiucchiate delle volpi.

Alaska

McCunn si era portato con sé 500 rullini di pellicola e un consistente equipaggiamento fotografico, ma anche una gran quantità di provviste. Aveva previsto di stare in Alaska fino a metà agosto. “Gli umani sono così lontani dal proprio elemento, dai ‘tempi moderni’, in un posto come questo” aveva scritto, mentre descriveva con estasi il ritorno degli animali nei loro habitat estivi.

All’inizio di agosto, il fotografo si rese conto che avrebbe dovuto organizzare il suo rientro con più previdenza. Iniziò a non datare più le pagine del suo diario. Le provviste erano praticamente terminate ed iniziò a passare il proprio tempo cercando cibo, cacciando anatre ed essiccando la carne di un caribù che era morto nel lago.

Un pilota, tra l’altro, volò qualche volta sopra al campo di McCunn, e lo vide mentre sventolava un sacco rosso. Ma gli sembrò che stesse muovendo il sacco di modo casuale, e nel suo diario il fotografo scrisse di essersi accorto di aver dato al pilota il segnale sbagliato.

“Ricordo di aver alzato la mia mano destra, con le spalle in alto, e di aver fatto oscillare il mio pugno” scrisse. “Pare che il segnale stia per ‘Tutto ok, non aspettarmi’. Non posso crederci!”.

Ad ottobre, McCunn stava iniziando a lottare con lupi e volpi per rubare (o evitare di farsi rubare) le prede. Il suo diario recitava: “è stato un giorno terribile e non mi ci soffermerò. Le mani stanno gelando sempre di più. Ho solo una razione di fagioli, ormai. Onestamente, temo per la mia vita. Ma non mi arrenderò.”

Qualche settimana dopo, eppure, iniziò a crollare. “Mi sento miserabile”. Scrisse. “Non ce la faccio più. Non riesco a smettere di pensare di usare il proiettile”.

E alla fine, riportò di aver appena acceso l’ultima legna da ardere che gli rimaneva. “Quando le ceneri inizieranno a raffreddarsi, io mi spegnerò con loro”.

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