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"Se un uomo bacia una donna senza permesso, ella ha il diritto di mordergli via il naso": così sentenziò un giudice inglese nel 1837
Nel 1837 un uomo britannico denunciò una donna che gli aveva morso via mezzo naso dopo che lui aveva provato a baciarla senza permesso. Il giudice gli diede torto, affermando che "Quando un uomo bacia una donna contro la sua volontà, ella ha tutto il diritto di mordergli via il naso, se ciò le compiace"
Pubblicato il 23/08/2019

L'accusatore, che portava i chiari segni dell'aggressione in faccia, dichiarò che il giorno dopo quello di Natale si trovava nel bar di una locanda. Lì aveva incontrato Miss Newton con la sorella, e sentì quest'ultima dire di aver lasciato il marito a Birmingham, promettendogli che nessun altro l'avrebbe baciata in sua assenza.
Saverland la prese come una sfida, la prese e la baciò. La sorella lo prese come un affronto, e l'uomo le donne che, se era arrabbiata, avrebbe baciato anche lei. Iniziò un litigio, e Saverland a un certo punto le si avvicinò, provando a baciare anche lei. Ma lei si ribellò e poco dopo aveva un pezzo di naso nella sua bocca.
La donna si difese dicendo che lui non aveva il diritto di baciare la sorella, specialmente in un luogo pubblico. Il Giudice disse che, qualunque fosse stato il verdetto della giuria, lui non l'avrebbe condannata a pagare un gran risarcimento, visto che l'uomo aveva "attirato la punizione su di sé". La giuria concordò e la assolse.
Il giudice, in seguito, si dichiarò dispiaciuto per la perdita del naso dell'accusatore, ma "se vuole giocare con i gatti, bisogna aspettarsi i graffi". Alla giuria, disse: "Gentiluomini, la mia opinione è che se un uomo cerca di baciare una donna contro la sua volontà, ella ha il diritto di mordergli via il naso, se così le compiace". "E anche a mangiarlo" aggiunse ironicamente qualcuno. Risero tutti, tranne il povero sfigurato.
Il caso Saverland v. Newton è stato descritto dal Bell's Weekly Messenger, quotidiano britannico fondato alla fine del XVIII secolo,

"Un bacio" di Otto Friedrich Theodor von Möller // Wikimedia // PD
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