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Ecco come possono convincerci di essere colpevoli di un crimine mai avvenuto
I ricordi vengono manipolati così facilmente che, in 3 ore, si può venir convinti di aver commesso un crimine che non è mai avvenuto. Dei ricercatori hanno condotto uno studio per capire come mai alcuni vanno in prigione dopo confessioni fasulle, scoprendo di essere in grado di convincere il 70% dei partecipanti di essere colpevoli di un crimine inesistente. I soggetti, tutti in età universitaria, non solo confessarono, ma descrissero anche esperienze molto dettagliate che in realtà non avevano mai avuto luogo.
Fonte:
Npr e molte altre (riferimenti a fondo pagina)
(link alla fonte principale)
Esistono molte evidenze a sostegno del fatto che le persone possano essere ingannate nel "ricordare" crimini che, in realtà, non hanno mai commesso.
Lo studio di Julia Shaw
Forse starete pensando che a voi non succederebbe mai. Ma in realtà, purtroppo, alcuni studi hanno mostrato che questo fenomeno (a tutti gli effetti un fenomeno estremo) può accadere al 70% delle persone.
Sulla percentuale esistono ancora diversi dibattiti (ne parleremo più avanti) e per maggiore cautela possiamo dire che ciò può avvenire tra il 20 e il 70% dei casi. Anche rimanendo sul limite inferiore della forbice, il numero getta un'ombra lunga sul sistema giudiziario, allorquando questo affidi le condanne puramente alla testimonianza del presunto colpevole.
Lo studio che fece notizia venne condotto da Julia Shaw, psicologa forense dell'università di Bedfordshire. I partecipanti, tutti in età universitaria, non solo ammisero un crimine inesistente, ma crearono loro stessi dei dettagli di un evento che non aveva mai avuto luogo.
La psicologa, insieme al collega Stephen Porter, raccolse (con il benestare del comitato etico) dettagli dell'infanzia dei falsi criminali, direttamente dai genitori.
Poi, durante tre interviste durate 45 minuti ciascuna, la Shaw estrapolò dagli studenti informazioni su un'esperienza reale (che ricordavano) e una fabbricata (di cui lei stessa li convinse).
Bastarono quelle tre ore, in cui lei sottoponeva agli studenti frammenti di informazioni verificate e frammenti di informazioni fabbricate, e una schiacciante maggioranza di studenti si convinse di essere un criminale.
Una studentessa, raccontando della presunta esperienza in cui lei aveva aggredito una compagna di classe nella prima adolescenza, riempì attivamente i dettagli rimasti vuoti, inventando (di fatto) quale arma avesse usato (una roccia), il motivo del litigio (un ragazzo) e perfino cosa stava mangiando per cena quando la polizia andò a cercarla.
Secondo la psicologa della testimonianza Elizabeth Loftus, dell'Università della California, i ricordi falsi non vengono impiantati alla "Inception", ma sono piuttosto come una pagina di Wikipedia (che può essere modificata da te e dagli altri). Una volta che la persona si convince della verità di un fatto, l'immaginazione fa tutto il resto, ed è possibile visualizzare situazioni ed eventi fasulli, costruendoli sulla base di esperienze passate reali ma non pertinenti, o addirittura da dettagli presi da scene dei film. Quando questa composizione viene internalizzata, la realtà e la fantasia diventano impossibili da distinguere.
Ciò che preoccupa è che, secondo Mark Godsey, co-fondatore e direttore dell'Ohio Innocence Project (un gruppo per supportare e redimere le persone ingiustamente condannate) la polizia utilizza proprio tattiche come quelle messe in atto dalla Shaw. È verosimile che Godsey non sia neanche l'unico ad affermare qualcosa del genere. Basta guardare un poliziesco per capire che non è certo un'accusa così fuori luogo. D'altro canto, i poliziotti stessi sono costretti ad elaborare ipotesi e scenari su come possano essersi svolti i fatti relativi a un certo delitto, e di certo non sempre un processo di inquisizione sui dettagli avviene in malafede (ovvero con l'unico intento di trovare un colpevole più che la verità). Quello che è invece un pericoloso veleno per il sistema giudiziario è il pregiudizio, ed è verosimilmente intervenuto anche nel caso dei cinque ragazzi di New York (esistono diverse ricerche, condotte negli USA, che denunciano il razzismo, a volte anche interiorizzato e inconsapevole, degli agenti di polizia, e come molti di voi sapranno questo trattamento ha anche provocato rivolte tra le comunità di colore).
La ricerca di Julia Shaw fu per molti un boccone fin troppo amaro, benché diversi suoi colleghi abbiano contestato il numero da lei trovato (70%). Alcune critiche sono rivolte alla sua definizione di "falso ricordo", ma anche al fatto che gli autori dello studio possano aver sottovalutato alcuni segnali che potevano suggerire che quelli dei partecipanti non erano effettivamente ricordi.
La Shaw si è difesa, in un'intervista a Buzzfeed News, sostenendo che ci sono diversi modi di definire un falso ricordo, e il suo non era per forza scorretto. Il ricordo, almeno fino a un certo punto, è un'esperienza soggettiva e soltanto i partecipanti possono riportare se questa sta avvenendo o meno.
Un'altra psicologa inglese, Kimberley Wade, benché non contesti la conclusione della Shaw riguardo alla possibilità di sviluppare falsi ricordi di aver commesso un crimine, suggerisce che le percentuali siano molto più basse.
Il caso di Paul Ingram, "demone" di Thurston County, e i dubbi di Richard Ofshe
Uno dei casi più eclatanti riguardo a una (presunta) falsa confessione avvenne ad Olympia, Thurston County, nello stato di Washington, a partire dal 28 novembre 1988.
Paul Ingram era una persona molto rispettata nella comunità: 43enne, lavorava nell'ufficio dello sceriffo ed era attivo politicamente per sostenere le cause dei Repubblicani, nonché religiosamente nella chiesa pentecostale dell'Acqua della Vita.
Quel giorno Ingram venne arrestato per molestie sessuali ai danni delle figlie, Ericka e Julie, entrambe giovani ma all'epoca già maggiorenni. Diversi interrogatori portarono Ingram ad ammettere di essere colpevole degli abusi, ma non solo: anche la moglie Sandy si sarebbe macchiata di questi crimini per ben 17 anni, nel contesto di una serie di rituali di una setta satanica che aveva come base la loro fattoria. Casa sua, ammise Paul Ingram, era il centro di ritrovo di un gruppo di pedofili (tra cui due colleghi del centro di polizia), che violentavano regolarmente la figlia minore dell'uomo.
Le confessioni di Ingram divennero sempre più elaborate e dettagliate, ma non vennero mai trovate prove di nessuna di queste (né nella loro casa, né negli esami sanitari sulle ragazze, men che meno riscontri dai colleghi). Il problema, per l'uomo, è che le accuse erano partite dalle figlie stesse, e questo portò l'uomo a ricevere una pena esemplare: 21 anni di carcere. La maggior parte degli esperti ritiene che i delitti contestati non ebbe mai luogo.
Tutto, secondo molti, fu causato da un processo di suggestione massiccia in due fasi. La prima sulle figlie, la seconda sul padre. Le ragazze frequentavano un ritiro per adolescenti sponsorizzato dalla chiesa a cui appartenevano, e nel campo estivo veniva spesso discusso il tema delle violenze sui minori. Nel 1988 al ritiro partecipò una cristiana rinata, che si definiva "guaritrice", Karla Franko. Ella ebbe una sorta di rivelazione profetica: qualcuna delle ragazze presenti era stata molestata, durante l'infanzia, da uno stretto parente. Uno degli assunti che accompagnano queste realtà, spesso, è che molte vittime non ricordano questi abusi, a cause di processi di rimozione. In realtà questo assunto è completamente errato. È dolorosamente difficile, piuttosto, per una vittima di abuso, dimenticare questi eventi, che segnano in modo profondo l'intera esistenza di queste persone. Lo dicono le ricerche (benché per capirlo, in questo caso, basterebbe il semplice buonsenso). Qualche giorno dopo aver parlato con la guaritrice, Ericka affermò con certezza di essere stata molestata dal padre nell'infanzia.
Le sedute terapeutiche di questo tipo sono pericolose, in quanto tendono a suggestionare anche perché il "guaritore" (o il terapeuta) promette che il paziente, una volta ricordato l'evento rimosso, si sentirà molto meglio. Le figlie di Ingram si attaccarono a questa promessa in maniera maniacale. Quando i due poliziotti accusati, colleghi del padre, non vennero incriminati, Ericka accusò trenta persone di aver cospirato per aver coperto la verità, denunciando l'ufficio dello sceriffo.
Durante l'interrogatorio, a Ingram venne ricordato quanto il demonio fosse reale e in tutti noi (per lui era molto facile essere convinto di ciò, dal momento che era una credenza già presente in lui) e di quanto è facile rimuovere il ricordo dei delitti di questo tipo. Gli venne detto che le figlie non avrebbero mai inventato delitti di tale entità, e molte persone a lui vicine, tra amici e membri della sua chiesa, iniziarono a comportarsi come se lui fosse colpevole.
Lo psicologo sociale Richard Ofshe, esperto di sette religiose, studiò il caso e pubblicò anche il paper al riguardo, dopo aver interagito direttamente con l'accusato, anche durante il processo. Fin da subito egli fu scettico. Provò a sua volta ad inculcare in Ingram un falso ricordo, ovvero che egli avesse costretto il figlio ad avere rapporti sessuali con le sorelle sotto i suoi occhi. Ingram riferì la scena nei dettagli, riempiendo i vuoti proprio come aveva fatto uno dei soggetti nello studio di Julia Shaw.
Il caso di Ingram è stato collegato addirittura ai processi delle streghe di Salem. Bisogna ricordare che anche quelle donne ammettevano spesso di essere effettivamente delle streghe, descrivendo in modo particolareggiato le pratiche sataniche a cui si dedicavano. Ammesso che non crediate all'effettiva esistenza delle streghe, alla luce di episodi storici di questa portata quello di Ingram diventa un po' meno incredibile.
Foto di Gerd Altmann da Pixabay
Elizabeth Loftus e "il mito dei ricordi repressi"
Elizabeth Loftus è una psicologa cognitiva americana, esperta di memoria umana e della sua malleabilità. Loftus rivoluzionò la psicologia della testimonianza dimostrando la facilità nella creazione di falsi ricordi, inclusi quelli relativi a un abuso sessuale avvenuto in infanzia.
Uno dei suoi primi studi, spesso citato, riguardava la ricostruzione di un incidente automobilistico. La Loftus dimostrò che i ricordi non sono quasi mai accurate rappresentazioni degli eventi accaduti, ma possono essere alterati da informazioni fornite in seguito all'evento stesso, o anche semplicemente dalla formulazione della domanda (Alla domanda "a che velocità andavano le due auto quando si sono toccate?" gli intervistati rispondevano un valore minore rispetto a quanto facevano alla domanda "a che velocità andava le due auto quando si sono scontrate?").
Pochi studiosi, quanto Elizabeth Loftus, hanno influito sull'uso della testimonianza oculare nei processi. La psicologa ha contribuito a una rappresentazione della memoria come processo dinamico e ricostruttivo, e dunque relativamente inaffidabile, scalfendo l'immagine granitica di una memoria in grado di replicare gli eventi come farebbe una telecamera.
Riferimenti
You Can Be Persuaded To Confess To An Invented Crime, Study Finds, 2015, NATHAN SIEGEL,
https://www.npr.org/2015/01/29/382483367/you-can-be-convinced-to-confess-to-an-invented-crime-study-finds
Scientists Are Doubting A Famous Study That Claimed You Can Be Easily Tricked Into A False Confession, 2018, Stephanie M. Lee, https://www.buzzfeednews.com/article/stephaniemlee/false-crime-memories-debate
Age of Propaganda. The everyday use and abuse of persuasion, Anthony R. Pratkanis and Elliot Aronson, 2001
Thurston County ritual abuse case, Wikipedia inglese, https://en.wikipedia.org/wiki/Thurston_County_ritual_abuse_case
Elizabeth Loftus, Wikipedia inglese, https://en.wikipedia.org/wiki/Elizabeth_Loftus
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Il mistero del Boeing 727 scomparso in Angola nel 2003